La lettera che mi scrisse il Bronzino
Cercando fra le scartoffie mie a volte saltano fuori fogli che non rivedevo da parecchio tempo. Fra il polverone e il caldo di questa giornata d’agosto, mi son ritrovato fra le mani una lettera che mi scrisse il Bronzino qualche annetto fa.
Era il 3 maggio del 1561 e si meravigliò che gli mandassi i saluti per un mio nipote. Ci tenne a specificare che non sapesse quale nipote fosse ma presumo sia stato Lionardo. Il pittore colse così l’occasione per ringraziarmi prolissamente di un così gradito saluto e mi fece avere un sonetto. Anche lui si dilettava come me nello scrivere versi e voleva sapere cosa ne pensassi. Di quel sonetto non è arrivata traccia fino a voi purtroppo.
Il Bronzino aveva ventott’anni meno di me. Nato e vissuto sempre a Firenze, fu un bravo pittore ricordato sia per la sua meravigliosa Deposizione che per numerosi ritratti come quelli di Lucrezia Panciatichi e Eleonora di Toledo col figlio Giovanni.
Scrisse anche versi struggenti appassionati dedicati al Pontormo. A seguire vi riporto per intero quella lettera così piena di lodi che scrisse a me. Il sempre vostro Michelangelo Buonarroti e i sui racconti.
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Firenze, 3 maggio del 1561
Molto magnifico et eccellentissimo messer Michelagnolo, signore e maggior mio eccetera.
Ieri, che fummo alli due del presente, mi trovò un nipote di Vostra Signoria del quale non so il nome et mi dette nuove del vostro bene stare, le quali mi furono sopra modo carissime. Et con questo, per farmi passare ogni termine d’allegrezza, aggiunse come voi insieme con alcuni altri mi mandavate a salutare, come benigno et amorevole che mi foste sempre della quale amorevolezza et cortesia, ancora che io ne sia poco degno, con ogni mio potere vi ringrazio; e prego Quello da cui ogni bene e salute procede, che per me ve ne renda tante saluti quante io per me desidero e quanto mi pare che meritino gl’infiniti meriti vostri.
Messer Michelagnolo mio, sallo Iddio quanto io ho sempre amato et reverito le grandissime ed incomparabili virtuti vostre et come sempre ho desiderato che Vostra Signoria mi comandi, e quanto io habbi havuto sempre voglia di scriverle una volta e quante volte io habbia cominciato; ma non mi parendo essere né degno a ciò né in parte alcuna sufficiente, me ne sono stato, riserbandomi solo l’amore nel mezzo del cuore inverso di voi e lo stupore de’ vostri altissimi meriti; et così tacitamente me ne son passato.

Ma hora, essendomi venuta questa troppo grandissima occasione, non me ne sono potuto tenere, perché non mi pare però ragionevole che, havendo io sempre riconosciuto da voi tutto quello, ancora che per mio difetto sia poco, che io so e vaglio, e perciò tenermi, anzi essere, e sua creatura e discepolo ed insomma tutto suo, che almeno, stimulato dalla sì grande humilità vostra, io non gl[i]ele facessi in così lungo tempo a sapere, come io vorrei che per questa mia si facesse, la qual vorrei che nel vostro cortesissimo et amorevolissimo animo fusse di tanto valore che quella per tale mi reputasse et, se io non chieggo troppo, mi desse qualche volta occasione d’accordare i fatti con le parole, li quali forse sarebbono tali che mi varrebbono sopra ogn’altro testimonio.
Io non voglio più tediare il modestissimo animo vostro né occuparlo con lungo scrivere, ma solo pregarla che non li sia grave ancora di leggere il presente sonetto, che io con questa le mando e che l’altissima humilità di quella in salutare così bassa persona m’ha tratto della penna, offerendomi per quanto io vaglio, mentre harò vita, a Vostra cortesissima Signoria, alla quale io prego il nostro Signore Iddio che doni ogni bene ed ogni perfetta felicità.Di Fiorenza, alli III di maggio MDLXI.
Per il di Vostra Signoria eccellentissima affettionatissimo e per servirla Agnolo Bronzino pittore.Al magnifico et eccellentissimo messer Michelagnolo Buonarroti mio [signore s]empre osservandissimo.A Roma.
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