Io: un omo vile, povero e macto
Cercando nel mio grande archivio di lettere e scartoffie, oggi ho trovato questa lettera qua che vi voglio proporre. E’ corta ma rende bene l’idea del carattere mio ma anche del modo di scrivere che avevo. Se non ero parecchio arrabbiato non mancava mai una punta d’ironia.
Presi carta e penna per scrivere al cardinale Bernardo Dovizi, detto il bibbiena mettendo subito in chiaro che ero un omo vile, povero e macto.
Pure in una lettera di raccomandazioni come questa fu, non mi sottrassi dall’aggiungere una nota per così dire insolita in cui avevano a che fare le cipolle. No, non è un riferimento al fatto che facciano piangere se tagliate ma alla loro dolcezza… chi mangia troppo cappone alla fine potrebbe preferire le cipolle per il loro gusto dolce.
Una sorta di salto mortale per consigliare al cardinale Bernardo Dovizi, fortemente legato alla famiglia Medici, di prendere a lavorare nel suo palazzo Sebastiano del Piombo visto che oramai Raffaello era passato a miglior vita e non avrebbe più potuto accontentare i suoi voleri e la sua brama di decorare quegli ambienti.
Fate caso alla data della lettera: Raffaello Sanzio era morto solo il 6 aprile del 1520 e io feci in fretta a scrivere al monsignore. Non erano passati nemmeno due mesi da quel funesto giorno. Perdete tempo non m’era mai garbato e Sebastiano meritava quel posto vacante.
Dovizi Bernardo
Firenze, 31 maggio del 1520
Mons(ignior)e, io prego la vostra Reverendissima S(igniori)a non chome amicho o s[ervo], perché [io] non merito esser né ll’uno né ll’altro, ma chome omo vile, povero e macto, che facci che Bastiano venitiano pictore abi, poi che è morto Rafaello, qualche parte de’ lavori di Palazo.
E quando paia a Vostra S(igniori)a inn un mio pari gictar via el servitio, penso che, ancora nel servire e’ macti, che rare volte si potrebe trovare qualche dolceza, chome nelle cipolle, per mutar cibo, fa cholui che è infastidito da’ chaponi. Degl’uomini di chonto ne servite el dì; prego Vostra S(igniori)a provi questo a me.
El servitio fia grandissimo, e se fia gictato in me, non fia cos[ì] in Bastiano, perché son certo farà onore a Vostra S(igniori)a; e Bastiano decto è valente omo, e so farà onore a quella
