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Io vi prego che voi me lo facciate levar dinanzi

Capitava poi quando ero a Roma che da Firenze mi mandavano garzoni che volevano imparare l’arte della pittura e della scultura. Governavano casa, li mandavo a far commissioni e avevano come ricompensa la possibilità di apprendere le cose del mestiere mio.

Il mi babbo faceva un po’ da intermediario e a volte esagerava prendendosi qualche libertà di troppo. Il nostro rapporto non è stato mai tanto idilliaco e anche i garzoni che mi mandava potevano essere motivo di scontro.

Me lo ricordo come fosse adesso. Una volta mi mandò un ragazzo che a parer suo si sarebbe accontentato anche di badare alla mia mula pur di disegnare qualche ora al mio fianco. Alla fine però si rivelò per essere un peso non così facile da sopportare: voleva disegnare e basta. Oltretutto l’altro garzone s’era ammalato e dovevo accudirlo giorno e notte come un figlio.

Questa è la lettera che scrissi al mi babbo proprio parlando di questo garzone fannullone che mi stava sul groppone.

Roma, 21 Ottobre 1514

Charissimo padre, io vi risposi, de’ chasi di Bernardino, com’io volevo prima achonciar la cosa della chasa che voi sapete; e chosì vi rispondo adesso.

Io mandai prima per lui, perché mi fu promesso infra pochi dì che la s’achoncierebe, e che io cominciassi a llavorare.

Dipoi ò visto che la sarà chosa lunga, e cercho in questo mezo se io ne truovo un’altra al proposito per uscirmene, e non voglio far lavorare niente, se prima non sono achoncio. Però raguagliatelo chome sta la chosa.

Del fanciullo che venne, quel rulbaldo del mulactiere mi g[i]untò d’un duchato prese el g[i]uramento che era restato così d’achordo, cioè di du’ ducati d’oro larg[h]i; e ctucti e’ fanc[i]ugli che vengono qua cho’ mulatieri non si dà più che dieci charlini. Io n’ò avuto più sdegno che se io avessi perduti venticinque duchati, perché vego che è cosa del padre, che l’à voluto mandare in sur un mulo molto onorevolmente.

O[h], io non ebi mai tanto bene, io! L’altra, che ‘1 padre mi disse, e’1 fanciullo insieme, che farebbe ogni cosa e governerebe la mula e dormirebbe in terra, se bisogniassi e a mme bisognia governallo! Manchavami faccienda, oltra quella che i’ ò avuta poi che io tornai! che ò avuto el mio garzone, che io lasciai qua, amalato dal dì che io tornai per insino adesso.

Vero è che adesso sta meglio, ma è stato in transito, sfidato da’ medici, circha un mese, che mai sono intrato in lecto; sanza molte altre noie. Ora ò avuto questa merda secha di questo fanciullo che dice’ che non vole perder tempo, che vole imparare; e dissemi costà che e’ gli bastava dua o tre ore el dì adesso non gli basta tucto el dì, che e’ vuole anche tucta la nocte disegniare. Sono e’ chonsigli del padre.

Se io gli dicessi niente, direbbe che io non volessi che egli imparrassi. I’ ò bisogno d’esser governato, e se e’ non si sentiva da farlo, non dovevono mectermi in questa spesa. Ma son fagnioni, ma sson fagnioni, e vanno a un certo fine, che basta.

Io vi prego che voi me lo facciate levar dinanzi, perché e’ m’à tanto infastidito che io non posso più. El mulacti[e]re à avuti tanti danari che e’ lo può molto bene rimenare in costà; e è amico del padre suo. Dite al padre che rimandi per esso; io non gli darei più un quatrino, ché io non ò danari. Arò tanta patientia che e’ mandi per esso; e se e’ non manda, lo manderò via benché io lo chacciai el sechondo dì via e po’ altre volte ancora, e non lo crede.

De’ chasi della boctega, io manderò a voi costà cento ducati sabato che viene; con questo, che se voi vedete che gli actendino a far bene, voi gli diate loro e che me ne faccino creditore, com’io restai chon Buonarroto quando parti’; quanto che e’ non actendessino a far bene, mectetegli in Santa Maria Nuova a mia conto. Del comperare non è ancora tempo.

Vostro Michelagniolo in Roma.Se voi parlassi al padre del fanciullo, ditegli la cosa chon buon modo, che gli è buon fanciullo, ma che gli è troppo gientile, e che e’ non è acto al servitio mio, e che si mandi per esso. A Lodovicho di Buonarro[t]a Simoni in Firenze.

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