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La grande scultura del papa seduto con le campane in bocca

Se Giulio II della Rovere è noto per la sua megalomania, dovrebbe esserlo per la stessa ragione papa Clemente VII de’ Medici. Noto alle cronache per avermi commissionato il Giudizio Universale nella Cappella Sistina, lo è molto meno per avermi chiesto la realizzazione di un’opera scultorea colossale.

Un’opera che avrei dovuto realizzare in quel di Firenze, la sua terra natìa. Sedetevi comodi che questa storia ve la voglio raccontare dal principio.

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Clemente VII, al secolo Giulio Zanobi di Giuliano de’ Medici era nato a Firenze il 26 maggio del 1478. Era il figliolo naturale e poi successivamente legittimato di Giuliano de’ Medici: il fratello del Magnifico che fu assassinato durante la Congiura de’ Pazzi.

Una volta divenuto papa, la sua voglia di passare in qualche modo alla storia non lo abbandonò mai. Aveva un gran desiderio: quello di far realizzare una scultura che fosse alta perlomeno 55 piedi cioè più di 16 metri. Pensate un po’: il David misura dalla testa ai piedi (basamento escluso) 5 metri e 17 centimetri. Lui voleva una scultura che lo ritraesse alta tre volte tanto.

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Dove avrebbe avuto farla mettere? Davanti alla Basilica di San Lorenzo a Firenze. Chiese a me la realizzazione di questo cosone. Non proferii parola ma pensai seriamente avesse perso il senno. Dopo qualche giorno gli scrissi una lettera assai convincente per farlo rinunciare a questo progetto assurdo e lui di buon grado rinunciò a quell’idea malsana.

Ve l’immaginate adesso la piazza di San Lorenzo con una scultura colossale del papa?

Di questo progetto surreale ne parlai anche a Giovan Francesco Fattucci che in quel momento si trovava a Roma. Gli scrissi una lunga lettera ironizzando su come quell’opera avrebbe potuto essere. L’avrei potuta fare davanti alla bottega del barbiere o meglio, seduta sopra così lui non avrebbe dovuto spostare la sua attività e chi gli affittava il locale avrebbe continuato a riscuotere la pigione.

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Il capo l’avrei fatto vuoto per dar modo a un amico mio di realizzarci dentro una colombaia mentre nella bocca del papa ci sarebbero state bene le campane: un’opera sola e tante funzioni differenti.

Leggete la lettera: son sicuro vi strapperà un sorriso. Il sempre vostro Michelangelo Buonarroti e i suoi racconti.

Firenze, 30 di Novembre del 1525

Messere Giovan Francesco,

se io avessi tanta forza quant’io ò avuto allegrezza dell’ultima vostra, io crederrei chondurre, e presto, tucte le chose che voi mi schrivete; ma perché io no n’ò tanta, farò quello che potrò.

Circha al cholosso di quaranta braccia, di che m’avisate che à a ire, o vero che s’à a mmectere in sul chanto della loggia dell’orto de’ Medici, a rRischontro al chanto di messere Luigi della Stufa, io v’ò pensato e non pocho, chome voi mi dite, e parmi che in su’ decto chanto none stia bene, perché ochuperebe troppo della via; ma in su l’altro, dove è la boctega del barbiere, sechondo me tornerebbe molto meglio, perché à la piazza dinanzi e non darebbe tanta noia alla strada.

E perché forse non sare’ sopportato levar via decta boctega, per amore dell’entrata ò pensato che decta figura si potrebbe fare a ssedere, e verrebe sì alto el sedere, che faccendo decta opera vota dentro, chome si chonviene a farla di pezzi, che la boctega del barbiere vi verrebbe socto, e non si perderebbe la pigione.

E perché anchora decta boctega abbi, chome à ora, donde smaltire el fummo, parmi di fare a decta statua un chorno di dovitia in mano, voto dentro, che gli servirà per chammino. Dipoi, avend’io el chapo voto dentro di tal figura, chome l’altre membra, di quello anchora credo si chaverebbe qualche utilità, perché e’ c’è qui in sulla piazza un trechone molto mio amicho, el quale m’à dicto in segreto che vi farebbe dentro una bella cholonbaia.

Anchora m’ochorre un’altra fantasia, che sarebbe molto meglio, ma bisognierebbe fare la figura assai maggiore e potrebbesi, perché di pezzi si fa una torre e questa è che ‘l chapo suo servissi pel champanile di San Lorenzo, che n’à un gran bisognio; e chacciandovi dentro le champane, e usciendo el suono per bocha, parrebbe che decto cholosso gridassi miserichordia, e massimo el dì delle feste, quando si suona più spesso e chon più grosse champane.

Circha del fare venire e’ marmi per la sopra decta statua, che e’ non si sappi per nessuno, parmi da fargli venire di nocte e turati molto bene, acciò che e’ non sieno visti.

Saracci um po’ di pericholo alla porta, e anche a questo pigliereno qualche modo; al peggio fare, San Gallo non ci mancha, che tien lo sportello insino a dì.

Del fare o del non fare le chose che s’ànno a fare, che voi dite che ànno a soprastare, è meglio lasciarle fare a chi l’à fare, ché io arò tanto da fare ch’i’ non mi churo più di fare. A mme basterà questo, che fia chosa onorevole.Non vi rispondo a ctucte le chose, perché lo Spina vien di chorto a rRoma, e a bocha farà meglio che io chon la penna, e più partichularmente.

Vostro Michelagniolo schultore in Firenze. Al mio caro amicho messere Giovan Francescho prete di Santa Maria del Fiore di Firenze. In Roma.

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