Il mio Cristo Risorto censurato e deturpato
Povero Cristo di Santa Maria Sopra Minerva! Mi fa male vederlo così, con quel panneggio metallico che lo deturpa e sembra spezzarlo in due!
E pensare che quando lo ideai su commissione di Metello Vari avevo studiato appositamente una doppia torsione sulla Croce per metterne in risalto le anatomie perfette. Niente da fare. Qualche benpensante, o presunto tale, volle sciuparmelo così.
Ebbe una vita travagliata quel Cristo lì e il povero Metello Vari dovette aspettare dieci anni prima di vedere l’opera terminata. La versione originale la abbandonai perché presentava una brutta venatura nera proprio sul volto. In un primo momento cercai di toglierli importanza incorporandola nelle normali solcature espressive ma alla fine non ero comunque soddisfatto e iniziai da capo il lavoro.
Scolpii questo Cristo a Firenze e, quando oramai fu quasi ultimato, lo inviai via mare al porto di Civitavecchia. Il bastimento dovette permanere un mesetto al largo perché all’imboccatura del porto s’era creata una bara di sabbia che impediva alle imbarcazioni di entrare o di uscire.
Finalmente il cristo arrivò a Roma e prima di essere collocato definitivamente nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva doveva essere ultimato. Mi trovavo assai incasinato fra Carrara e Firenze. Non potevo certo recarmi a Roma per concludere il lavoro così pensai di affidare il compito a Pietro Urbano. Non l’avessi mai fatto: me lo rovinò come mai mi sarei immaginato potesse fare.
Lo perdonai di quello scempio ma la scultura rimase deturpata. Chiesi a Federico Frizzi di rimediare alla meno peggio ma oramai si poteva cambiare ben poco.
A riferirmi dello scempio fatto da Pietro Urbano fu Sebastiano del Piombo che come sempre mi aggiornava continuamente su quello che succedeva a Roma durante le mie assenze.
“Ma io vi fo intender che tutto quello ha lavorato ha storpiato ogni cosa, maxime ha scortato el piede drito, che si vede manifestamente ne le ditta che lui l’à mozze; ancora ha scòrte le ditte de le mane, maxime quela che tiene la Croce, che è la drita, che ‘l Frizzi dice che par che li habi lavorato colloro che fano le zanbele: non par lavorate de marmo, par li habi lavorato colloro che lavorino de pasta, tanto sono stentate (…) et credo certamente li capiterà male, perch io ho inteso che lui iocha et de putane le vol tutte, et fa la ninpha con le scarpe de veluto per Roma ed diè dar de molti baiochi.”
Il vostro Michelangelo Buonarroti che pensa sempre al suo povero Cristo rovinato
foto di Nico Vigenti
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