Anche Cristo perde la pazienza
Quando arrivai per la prima volta a Roma da Firenze rimasi stupefatto per lo strapotere temporale della Chiesa. Certo non vivevo chissà dove e sapevo bene che il papato non fosse tutto rose e fiori. Però vedendo con i miei occhi certo sotterfugi e l’ostentazione sfacciata di una ricchezza inimmaginabile per qualsiasi persona, rimasi alquanto sconvolto.
I fasti papali cosa avevano a che fare con Cristo? Nulla… iniziai a farmi domande su domande e di getto scrissi questi versi chiedendomi per quanto ancora Cristo potesse sopportare simili abomini.
Qua si fa elmi di calici e spade
e ‘l sangue di Cristo si vend’a giumelle,
e croce e spine son lance e rotelle,
e pur da Cristo pazïenzia cade.
Ma non ci arrivi più ‘n queste contrade,
ché n’andre’ ‘l sangue suo ‘nsin alle stelle,
poscia c’a Roma gli vendon la pelle,
e ècci d’ogni ben chiuso le strade.
S’i’ ebbi ma’ voglia a perder tesauro,
per ciò che qua opra da me è partita,
può quel nel manto che Medusa in Mauro;
ma se alto in cielo è povertà gradita,
qual fia di nostro stato il gran restauro,
s’un altro segno ammorza l’altra vita?
Il sempre vostro Michelangelo Buonarroti e i suoi versi








