Tommaso, il nome vostro nutre il corpo e l’anima
Potevo sembrare quasi arrogante a volte, scontroso e poco incline a piegarmi. Così in effetti era molte volte, soprattutto con i potenti. Ma quando scrivevo al mio amato Tommaso diventavo quasi timoroso: avevo in cuore il temore di poter pensare una mezza parola di troppo, di scrivere una ccento che avrebbe potuto in qualche modo non rendere onore a colui che amavo.
Provate a leggere questa lettera che gli scrissi a Roma, il 28 luglio 1533, per rendervi conto di quanto cambiasse anche il mio registro linguistico nel momento in cui mi rivolgevo direttamente a lui. buona lettura
Signiore mio caro, se io non avessi creduto avervi in Roma facto certo del grandissimo, anzi smisurato amore che io vi porto, non mi sare’ paruta cosa strana, né mi sarea maraviglia il gran sospecto che voi mostrate per la vostra avere avuto, per non vi scrivere, che io non vi dimentichi.
Ma non è cosa nuova, né da pigliarne ammiratione, andando tante altre cose al contrario, che questa vadi a rrovescio anch’ella perché quello che Vostra S(igniori)a dice a me, io l’arei a dire a quella; ma forse quella fa per tentarmi o per riaccender nuovo et maggior foco, se maggior può essere.
Ma ssia come si vuole io so bene che io posso a quell’ora dimenticare il nome vostro, che ‘l cibo di che io vivo; anzi posso prima dimenticare il cibo di che io vivo, che nutri[s]ce solo il corpo infelicemente, che il nome vostro, che nutriscie il corpo e l’anima, riempiendo l’uno e l’altra di tanta dolcezza, che né noia né timor di morte, mentre la memoria mi vi serba, posso sentire. Pensate, se l’ochio avessi ancora lui la parte sua, in che stato mi troverrei.
Il sempre vostro Michelangelo Buonarroti con i suoi quotidiani racconti
