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Giovan Simone tu non mi piaci più

Che disastro il mi fratello Giovan Simone: disubbidiente e capriccioso come un bimbetto, insofferente e pure scialacquatore. Mi facevo in quattro per rendere la vita della famiglia a Firenze più che dignitosa ma lui pareva insensibile all’acquistare un po’ di prestigio economico e sociale.

Litigammo ferocemente e gli scrissi una lettera sdegnata dai toni tutt’altro che pacati ma ero davvero arrabbiato per quel fratello così sciocco che m’era capitato di avere come parente stretto. Ve la riporto a seguire: la scrissi da Roma il 30 giugno del 1509 ma credo che ancora che se la ricordi bene: quelle parole Giovan Simone ancora non le ha digerite ma per il semplice fatto che sapeva che avevo ragione.

Giovan Simonee’ si dice che chi fa bene al buono, il fa diventare migliore, e al tristo, diventa peggiore.

Io ò provato già più anni sono, con buone parole e chon facti, di ridurti al viver bene e im pace con tuo padre e con noi altri, e ctu peggiori tuctavia. Io non ti dico che tu sia tristo, ma tu sse’ i’ modo che tu non mi piaci più, né a me né agli altri.

Io ti potrei fare un lungo dischorso intorno a’ chasi tua, ma lle sarebon parole come l’altre che t’ò già facte; io, per abreviare, ti so dire per chosa cierta che tu non ài nulla al mondo, e lle spese e lla tornata di casa ti do io e òcti dato da qualche tempo in qua per l’amor de Dio, credendo che tu fussi mio fratello chome gli altri.

Ora io son cierto che tu non se’ mio fratello, perché, se ctu fussi, tu non minacceresti mio padre; anzi se’ una bestia, e io come bestia ti tracterò. Sappi che chi vede minacciare o dare al padre suo, è ctenuto a mectervi la vita; e basta.Io ti dicho che tu non ài nulla al mondo; e chom’io sento più u’ minimo che de’ casi tua, io verrò per le poste insino costà e mosterroti l’error tuo e insegnierocti stratiar la roba tua e fichar fuocho nelle case e ne’ poderi che tu [non] à’ guadagnati tu. Tu non se’ dove tu credi; se io vengo costà, io ti mosterrò cosa che tu ne piangierai a chald’ochi e chonoscierai in su quel che tu fondi la tua superbia.Io t’ò a dir questo anchor di nuovo, che se ctu voi actendere a far bene e a onorare e rriverir tuo padre, che io t’aiuterò chome gli altri, e farovi infra pocho tempo fare una buona boctega; quando tu non facci chosì, io sarò chostà e achoncierò i chasi tua i’ modo che tu chonoscierai ciò che tu se’ meglio che tu chonosciessi mai, e ssaperai ciò che tu ài al mondo, e vedra’lo in ongni luogo dove tu anderai. Non altro. Dov’io mancho di parole, superirò cho’ facti. Michelagniolo in Roma.

Io non posso fare che io non ti schriva ancora dua versi e questo è che io son ito da dodici anni in qua tapinando per tucta Italia, sopportato ogni vergogna, patito ogni stento, lacerato il corpo mio in ongni faticha, messa la vita propia a mille pericoli solo per aiutar la chasa mia; e ora che io ò cominciato a rrilevarla un poco, tu solo voglia esser quello che schompigli e rrovini in una ora quel che i’ ò facto in tanti anni e chon tanta faticha, al chorpo di Cristo, che non sarà vero! ché io sono per ischompigliare diecimila tua pari, quando e’ bisognerà. Or sia sa[vio], e non tentare chi à altra passione. A Giovan Simonedi Lodovicho Buonarroti in Firenze.

Il sempre vostro Michelangelo Buonarroti e i suoi eterni casini

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