La lettera che scrissi al Vasari durante il periodo di sede vacante del papato
Il duca Cosimo I mi voleva a Firenze per dar lustro non tanto a Firenze ma alla sua reggenza. Mi sentivo tirato per la giacchetta come se fossi un trofeo da esibire ma quella roba lì non faceva al caso mio.
Non era mia intenzione tornare in una Firenze governata da Cosimo I de Medici. L’età avanzava e lui temeva potessi non far più ritorno in città. I suoi inviti erano continui e, soprattutto tra il 1554 e il 1555, mi mandò ripetute sollecitazioni attraverso il mio carissimo amico Giorgio Vasari.

Con tanta gentilezza quanta fermezza, rifiutavo senza se e senza ma quegli inviti. Oramai Roma era diventata la mia casa e lì avevo avuto modo di stringere amicizia con diversi esiliati da Firenze.
Stavo lavorando al progetto della cupola della Basilica di San Pietro in Vaticano e, in quel frangente, anche alla scultura per la mia sepoltura che oggi conoscete con il nome di Pietà Bandini. Opere che non avevo certo intenzione di lasciare a metà.
Il Vasari mi scrisse pensando che, in un momento di sede vacante del papato, avrei potuto pensare di tornare verso Firenze. Gli risposi l’11 maggio del 1555, dieci giorni esatti dopo la morte di papa Marcello II che aveva retto uno dei pontificati più brevi della storia: 22 giorni.

Prima di lui aveva regnato Giulio III, al secolo Giovanni Maria Ciocchi del Monte, e dopo di lui, il 23 maggio del 1555, salì al soglio di Pietro il terribile papa Carafa con il nome di Paolo IV.
In un momento così delicato, in attesa che dal conclave uscisse il nome del nuovo pontefice, non potevo certo allontanarmi da Roma ma dopotutto non lo avrei fatto comunque. Il richiamo della terra natìa era forte ma mi ripugnava l’idea di tornare sotto il potere mediceo. L’età inoltre cominciava a pesarmi sempre di più sulle gambe.
Roma, 11 maggio 1555
Io fu’ messo a forza nella fabrica di Santo Pietro e ò servito circa oct’anni non solamente in dono, ma con grandissimo mie danno e dispiaceri e ora che l’è aviata e che c’è danari da spendere e che io son per voltar presto la cupola, se io mi partissi sarebe la rovina di decta fabrica, sarebbemi grandissima vergognia in tucta la Cristianità e all’anima grandissimo pechato.
Però, messer Giorgio mio caro, io vi prego che da mia parte voi ringratiate il Duca delle sua grandissime oferte che voi mi scrivete, e che voi preghiate Suo Signoria che con sua buona licentia e gratia io possa seguitar qua tanto che io me ne possa partire con buona fama e onore e senza pechato.
A dì undici di maggio 1555.Vostro Michelagniolo Buonarroti in Roma.A messer Giorgio pictore isciellentissimo in Firenze.
Per il momento il sempre vostro Michelangelo Buonarroti vi saluta dandovi appuntamento ai prossimi post e sui social.

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