Casa Buonarroti: al via ‘La Sistina di Michelangelo. Un’icona multimediale’
“La Sistina di Michelangelo. Un’icona multimediale”: la nuova mostra di Casa Buonarroti mette al centro della scena la fortuna dei miei lavori nella Cappella Sistina tra incisioni, fotografia e arte contemporanea.
“[…] in questo momento io sono talmente entusiasta di Michelangelo, che nemmen la Natura mi soddisfa più dopo di lui, non potendola vedere con occhi grandi come i suoi. Se ci fosse almeno un mezzo, per fissar bene nell’anima imagini tali! Certo, tutto quanto posso procurarmi di rami e di disegni delle sue opere, lo porterò con me”. Dicembre 1786, in occasione di un viaggio a Roma, Johann Wolfgang Goethe, dopo aver visitato la Cappella Sistina.

La Sistina rivive con una differente chiave di lettura nella mostra di Casa Buonarroti: “La Sistina di Michelangelo. Un’icona multimediale”, in programma a dal 24 settembre 2025 al 7 gennaio 2026.
L’esposizione, promossa dalla Fondazione Casa Buonarroti, in collaborazione con i Musei Vaticani e la Regione Toscana, è stata fortemente voluta dal presidente della Fondazione Cristina Acidini e dal direttore Alessandro Cecchi, per inaugurare le sale espositive restaurate e riallestite al piano terreno della Casa Buonarroti, grazie alla collaborazione di Opera Laboratori che ha prodotto l’esposizione curata da Silvestra Bietoletti e Monica Maffioli.
«Il percorso espositivo, nelle sale opportunamente restaurate, non mancherà di informare, emozionare e sorprendere i visitatori – sottolinea la presidente della Fondazione Buonarroti Cristina Acidini –. Capolavori di una tale altezza continuano ad agire come lievito di creatività anche in tempi difficili, ridando fiducia nell’umanità e nel suo futuro».
Il percorso espositivo
Con oltre 60 opere, il percorso espositivo propone la rilettura di uno dei più monumentali e celebri cicli pittorici della storia dell’arte rinascimentale con una suggestiva chiave di lettura: l’‘iconicità multimediale’ della Sistina.
I media, l’incisione, la fotografia, l’editoria illustrata, la cinematografia, i documentari televisivi, la grafica pubblicitaria di carattere commerciale, hanno svolto una significativa azione di traduzione e di interpretazione della complessa narrazione pittorica che io realizzai in Vaticano.
Tra le opere esposte numerosi prestiti dall’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dall’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, dall’Accademia di Belle Arti di Brera, dall’Accademia di Belle Arti di Firenze, dall’Accademia Nazionale di San Luca, dalla Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II”, dalla Bibliotheca Hertziana, dall’Istituto centrale per la grafica, dal Kunsthistorischen Institut in Florenz e dai Musei Vaticani.
La mia opera vaticana è stata nel corso dei secoli un costante riferimento figurativo per gli artisti, tuttavia, è solo nel XIX secolo tramite il nuovo medium fotografico che la sua conoscenza si diffonde globalmente; nuovi punti di vista ne propongono una puntuale e dettagliata lettura, estrapolando particolari che nel Novecento e nella contemporaneità diventano, in alcuni casi, vere e proprie icone.

«Il restauro della Cappella Sistina diretto dai Musei Vaticani negli anni Ottanta – ricorda la direttrice Barbara Jatta – ha cambiato radicalmente la percezione del capolavoro michelangiolesco, restituendo forme e colori brillanti e facendo della Sistina “il luogo da visitare”».
Le matrici in rame per le acqueforti di Tommaso Piroli, di Conrad Martin Metz e di Giovanni Volpato, realizzate tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, traducono su carta le grandi figure della Volta e del Giudizio Universale, operando una selezione critica che propone nuove visioni e forme narrative diverse.
Ma è soprattutto la fotografia, a partire dalla prima sistematica campagna di documentazione realizzata tra il 1868 e il 1869 dallo stabilimento alsaziano di Adolph Braun, che si incrementa un repertorio di immagini imprescindibile per gli studi e la conoscenza storico artistica dell’opera di Michelangelo: le campagne fotografiche dei grandi stabilimenti fotografici italiani, dei Fratelli Alinari, di Giacomo Brogi, di Domenico Anderson, ma anche le prime pubblicazioni illustrate con tavole cromolitografiche, come quelle promosse dalla londinese Arundel Society, diventano gli strumenti per gli storici dell’arte e la creazione del ‘mito’ michelangiolesco.
«Questa mostra – spiegano le curatrici Silvestra Bietoletti e Monica Maffioli – propone un excursus storico e una nuova chiave di lettura dell’“iconicità multimediale” della Sistina, mostrando come i media abbiano tradotto e diffuso il linguaggio figurativo di Michelangelo fino alla contemporaneità».

L’assenza dei toni cromatici è compensata dalla grandezza dei formati dei negativi e in fase di stampa con il dosaggio delle tonalità dei viraggi o con l’intervento manuale della colorazione all’anilina, aggiungendo ulteriori elementi di ‘traduzione’ rispetto all’opera originale.
Dalla metà del Novecento i cromatismi michelangioleschi sono riprodotti con relativa approssimazione dalle pellicole ortocromatiche utilizzate da Frank Lerner per il primo servizio fotografico a colori, apparso nella popolare rivista “LIFE” nel 1949.
Quindici anni dopo Pasquale De Antonis torna nella Sistina con lo storico dell’arte Roberto Salvini lavorando insieme alla prima sistematica campagna di documentazione scientifica del ciclo pittorico michelangiolesco; quello stesso anno, il 1964, Carlo Ludovico Ragghianti realizza il critofilm dedicato a Michelangelo: “un documentario d’arte in cui il linguaggio cinematografico viene adoperato in funzione critica per fornire allo spettatore la giusta lettura di un’opera” come lo ha definito lo stesso autore.
La maggior diffusione delle illustrazioni della mia opera attraverso le pubblicazioni sia scientifiche che divulgative ha fatto sì che il mio segno diventasse elemento di rielaborazione da parte di Tano Festa, uno dei più noti esponenti dell’arte pop romana, anticipando il processo di volgarizzazione dell’uso di alcuni particolari, come il noto dettaglio della Creazione di Adamo divenuto un’icona acquisita nell’immaginario popolare e moltiplicata serialmente tanto da essere rielaborata nella pubblicità, nel merchandising, nei souvenirs.
L’eclettico e anticonformista storico dell’arte Leo Steinberg, è stato un infaticabile studioso della fortuna a stampa di Michelangelo, tra i primi a considerare senza pregiudizi le figure della Sistina come immagini di consumo, un materiale degno di essere collezionato – come lui stesso farà dagli anni Sessanta – e studiato per capire la profonda ricezione dell’arte del sommo artista toscano nella società del secolo XX, in un’ottica di storia del gusto. In mostra sono esposte più di quaranta riproduzioni tratte dalle stampe della collezione di lampoons di Steinberg in cui l’icona del dettaglio dell’incontro della mano destra di Dio e quella di Adamo, un’immagine in grado di riassumere in sé, nei decenni successivi, il significato, l’intensità, l’essenza di tutto l’affresco anche travisandone i significati d’insieme.
L’ultima grande campagna fotografica documentaria, iniziata nel 1980 dal fotografo giapponese Takashi Okamura e conclusa nel 1999 al termine di uno dei più sensazionali e celebrati interventi di restauro, esalta il ‘disvelamento’ dell’opera originale, dove il colore diventa la chiave di lettura dell’intera mia opera pittorica rivelando che, al di là del segno, sono l’accesa cromia, che scandisce i volumi, e gli arditi accostamenti di colore a rendere quest’opera una sfida anche della contemporaneità.
Sfida raccolta dall’artista canadese Bill Armstrong quando, nel 2015, invitato dai Musei Vaticani, ha interpretato il capolavoro michelangiolesco concentrandosi sulle singole figure e sui loro gesti, creando una serie di nove fotografie intitolata Gestures, in cui l’evanescenza del fuori fuoco, dove galleggiano gli uomini risorti nel giorno del “Giudizio”, è bilanciata dalle accese cromie che danno forma ai corpi.
La mostra si chiude con l’opera “foto-grafica” Not in my name, realizzata nel 2014 dall’artista sudanese Khalid Albaih, e qui la sistina diventa veicolo di un messaggio universale.
«La raccolta della famiglia Buonarroti è ancora oggi la più ricca collezione di fogli michelangioleschi al mondo – conclude il direttore della Casa Buonarroti Alessandro Cecchi – e accogliere questa mostra nel palazzo voluto dal pronipote di Michelangelo significa proseguire una tradizione di memoria e valorizzazione lunga quattro secoli».
Per il momento il sempre vostro Michelangelo Buonarroti vi saluta dandoti appuntamento ai prossimi post e sui social.
Casa Buonarroti: “Michelangelo’s Sistine Chapel. A Multimedia Icon” opens
“Michelangelo’s Sistine Chapel. A Multimedia Icon”: the new exhibition at Casa Buonarroti highlights the success of my work in the Sistine Chapel, including engravings, photography, and contemporary art.
“[…] at this moment I am so enthusiastic about Michelangelo that not even Nature satisfies me after him, since I cannot see it with eyes as large as his. If only there were a way to capture such images deeply in my soul! Certainly, I will take with me all the copperplates and drawings of his works I can get.” December 1786, during a trip to Rome, Johann Wolfgang Goethe, after visiting the Sistine Chapel.
The Sistine frescoes I painted years ago never cease to inspire gazes and interpretations. Among the most famous pictorial cycles in the history of art, the Sistine Chapel is brought to life with a different perspective in the Casa Buonarroti exhibition: “Michelangelo’s Sistine Chapel. A Multimedia Icon,” running from September 24, 2025, to January 7, 2026.
The exhibition, promoted by the Casa Buonarroti Foundation, in collaboration with the Vatican Museums and the Tuscany Region, was strongly supported by the Foundation’s president, Cristina Acidini, and its director, Alessandro Cecchi. It inaugurates the restored and redesigned exhibition rooms on the ground floor of the Casa Buonarroti, thanks to the collaboration of Opera Laboratori, which produced the exhibition curated by Silvestra Bietoletti and Monica Maffioli.
“The exhibition, in the appropriately restored rooms, will certainly inform, excite, and surprise visitors,” emphasizes the president of the Buonarroti Foundation, Cristina Acidini. Masterpieces of such caliber continue to act as a leaven of creativity even in difficult times, restoring faith in humanity and its future.
The Exhibition
With over 60 works, the exhibition offers a reinterpretation of one of the most monumental and celebrated pictorial cycles in the history of Renaissance art, with a compelling interpretation: the Sistine Chapel’s “multimedia iconicity.”
The media—engraving, photography, illustrated publishing, cinematography, television documentaries, and commercial advertising—have played a significant role in translating and interpreting the complex pictorial narrative I created in the Vatican.
The works on display include numerous loans from the Albertina Academy of Fine Arts in Turin, the Academy of Drawing Arts in Florence, the Brera Academy of Fine Arts, the Academy of Fine Arts in Florence, the Accademia Nazionale di San Luca, the Vittorio Emanuele II National Central Library, the Bibliotheca Hertziana, the Central Institute for Graphics, the Kunsthistorisches Institut in Florence, and the Vatican Museums.
My Vatican work has been a constant figurative reference for artists over the centuries, yet it was only in the 19th century, through the new medium of photography, that knowledge of it spread globally; new perspectives offer a timely and detailed reading, extrapolating details that, in the 20th century and in contemporary times, become, in some cases, truly iconic.
“The restoration of the Sistine Chapel, directed by the Vatican Museums in the 1980s,” recalls director Barbara Jatta, “radically changed the perception of Michelangelo’s masterpiece, restoring brilliant forms and colors and making the Sistine Chapel ‘the place to visit.'”
The copper plates for the etchings by Tommaso Piroli, Conrad Martin Metz, and Giovanni Volpato, created between the late 18th and early 19th centuries, translate the great figures of the Ceiling and the Last Judgment onto paper, creating a critical selection that proposes new visions and diverse narrative forms.
But it is above all photography, starting from the first systematic documentation campaign carried out between 1868 and 1869 by Adolph Braun’s Alsatian studio, that increased a repertoire of images essential for the study and historical-artistic knowledge of Michelangelo’s work: the photographic campaigns of the great Italian photographic studios, of the Alinari Brothers, of Giacomo Brogi, of Domenico Anderson, but also the first publications illustrated with chromolithographic plates, such as those promoted by the London-based Arundel Society, became the tools for art historians and the creation of the Michelangelo ‘myth’.
“This exhibition,” explain curators Silvestra Bietoletti and Monica Maffioli, “offers a historical overview and a new interpretation of the Sistine Chapel’s ‘multimedia iconicity,’ demonstrating how the media have translated and disseminated Michelangelo’s figurative language into the contemporary era.”
The lack of color is compensated for by the large format of the negatives and, during the printing process, by the adjustment of tones and the manual application of aniline dye, adding further elements of ‘translation’ compared to the original work.
From the mid-twentieth century, Michelangelo’s colors were reproduced with relative accuracy by the orthochromatic films used by Frank Lerner for the first color photographic reportage, which appeared in the popular magazine “LIFE” in 1949.
Fifteen years later, Pasquale De Antonis returned to the Sistine Chapel with art historian Roberto Salvini, working together on the first systematic scientific documentation campaign of Michelangelo’s pictorial cycle; That same year, 1964, Carlo Ludovico Ragghianti made the critofilm dedicated to Michelangelo: “an art documentary in which cinematic language is used critically to provide the viewer with the correct interpretation of a work,” as the author himself defined it.
The increased dissemination of my illustrations through both scientific and popular publications meant that my style became an element of reworking by Tano Festa, one of the most renowned exponents of Roman pop art, anticipating the process of popularization of the use of certain details, such as the well-known detail of the Creation of Adam, which became an icon acquired in the popular imagination and serialized so much that it was reworked in advertising, merchandising, and souvenirs.
The eclectic and nonconformist art historian Leo Steinberg was a tireless scholar of Michelangelo’s printmaking, among the first to unprejudicedly consider the Sistine Chapel figures as consumer images, material worthy of collection—as he himself began to do from the 1960s—and study to understand the profound reception of the art of the great Tuscan artist in 20th-century society, from a historical perspective. The exhibition features more than forty reproductions from prints in Steinberg’s lampoon collection, including the icon of the detail of the meeting of God’s right hand and Adam’s, an image capable of encapsulating, in the decades that followed, the meaning, intensity, and essence of the entire fresco, even while distorting its overall meaning.
The last major photographic documentary campaign, begun in 1980 by Japanese photographer Takashi Okamura and concluded in 1999 following one of the most sensational and celebrated restoration projects, highlights the “unveiling” of the original work, where color becomes the key to understanding my entire pictorial oeuvre. It reveals that, beyond the mark, it is the vibrant hues that define the volumes and the bold color juxtapositions that make this work a challenge even for the contemporary world.
A challenge taken up by Canadian artist Bill Armstrong when, in 2015, invited by the Vatican Museums, he interpreted Michelangelo’s masterpiece by focusing on individual figures and their gestures, creating a series of nine photographs entitled Gestures, in which the evanescence of the out-of-focus spaces where the resurrected men float on the Day of Judgement is balanced by the vibrant colors that give shape to the bodies.
The exhibition concludes with the “photographic” work “Not in My Name,” created in 2014 by Sudanese artist Khalid Albaih, and here the Sistine Chapel becomes the vehicle for a universal message.
“The Buonarroti family collection remains the richest collection of Michelangelo’s drawings in the world,” concludes Casa Buonarroti director Alessandro Cecchi, “and hosting this exhibition in the palace commissioned by Michelangelo’s great-grandson means continuing a four-century-long tradition of memory and appreciation.”
For now, yours truly, Michelangelo Buonarroti bids farewell and invites you to join him in future posts and on social media.

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