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Versi per una gentil fanciulla di Bologna

Quello che vi propongo è un sonetto che misi nero su bianco sul verso di una lettera che mi scrisse il mi fratello Buonarroto. Quella lettera lì me l’aveva spedita lui a Bologna la vigilia di Natale del 1507 e se guardate in basso a destra potrete vedere l’indirizzo scritto da lui, perpendicolarmente ai versi.

La carta era un bene prezioso e cercavo di utilizzarla al massimo.

Fui costretto a recarmi a Bologna da Pier Soderini, gonfaloniere di Firenze, per andare a chiedere scusa al papa dopo la mia fuga da Roma ed evitare così un serio incidente diplomatico.

Vi ricordate quella storia? Ero tornato da Carrara nella città eterna con i marmi per la tomba di Sua Santità e lui non volle ricevermi. Doveva sborsarmi una bella cifra per pagare la consegna e i lavoratori che avevano contribuito all’impresa ma non volle ricevermi così fuggii in fretta e furia da Roma. Ve ne ho parlato nel dettaglio QUA.

Foglio appartenente a Casa Buonarroti
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Una volta arrivato a Bologna, Giulio II mi affidò la realizzazione della grande scultura in bronzo con le sue sembianze. Mentre ancora ero impegnato con quel lavoro che mi tolse il sonno per mesi, composi questi versi.

Scrissi di getto il sonetto con quella mia grafia giovanile e assai frettolosa per esaltare la bellezza di una ragazza bolognese. Lo stile di questi versi riconduce con la mente alla corte del Magnifico, dando un’idea di figure botticelliane con quella ghirlanda che cinge la chioma bionda della giovane, la reticella dorata che le ricade sulle guance e la veste stretta in vita da un nastro dorato.

Quanto si gode, lieta e ben contesta
di fior sopra ’ crin d’or d’una, grillanda,
che l’altro inanzi l’uno all’altro manda,
come ch’il primo sia a baciar la testa!
     Contenta è tutto il giorno quella vesta5
che serra ’l petto e poi par che si spanda,
e quel c’oro filato si domanda
le guanci’ e ’l collo di toccar non resta.
     Ma più lieto quel nastro par che goda,
dorato in punta, con sì fatte tempre10
che preme e tocca il petto ch’egli allaccia.
     E la schietta cintura che s’annoda
mi par dir seco: qui vo’ stringer sempre.
Or che farebbon dunche le mie braccia?

Per il momento il vostro Michelangelo Buonarroti vi saluta dandovi appuntamento ai prossimi post e sui social.

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