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Biagio da Cesena e i limiti d’azione del papa

Biagio da Cesena, il cerimoniere del papa, volle entrare con Paolo III Farnese nella Sistina per controllare da vicino le pitture del Giudizio Universale. Correva l’anno 1540.

Ancora non avevo portato a termine il mio lavoro ma già avevo affrescato gran parte dell’opera. Biagio iniziò a vaneggiare dicendo che avevo dipinto oscenità in un luogo sacro.

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Quanto la fece lunga per qualche chiappa al vento e un po’ di piselli all’aria: ma nostro Signore ci mette al mondo forse vestiti? Davvero pensava che colui che ci dona la vita si potesse scandalizzare vedendo dei corpi, frutto del suo amore?

Roba da matti.

Appena girò le spalle e iniziò ad avviarsi verso l’uscita, iniziai a dipingere il suo volto a Minosse, il giudice infernale raccontato anche dal mio amatissimo Dante. Lo posizionai immediatamente sopra la porta d’uscita della Cappella Sistina in modo che tutti lo avrebbero visto avrebbero visto passando di lì.

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Aggiunsi la serpe che lo avvolge con le sue spire. Con la bocca spalancata gli azzanna il pisello per una ragione ben precisa e non solo perché l’avevo a schifo dopo la critica fatta senza senno dei affreschi. Biagio da Cesena era un sodomita violento e addirittura uccise un ragazzo per soddisfare la sua perversione. Ecco il perché del serpente e del suo insolito gesto.

Il Vasari riportò l’episodio in questi termini: Il papa, “Dimandato quel che glie ne paresse, disse esser cosa disonestissima in un luogo tanto onorato avervi fatto tanti ignudi che si disonestamente mostrano le loro vergogne, e che non era opera della cappella di papa ma da stufe e d’osterie: dispiacendo questo a Michelagnolo e volendosi vendicare, subito che fu partito, lo ritrasse al naturale, senza averlo altrimenti innanzi, nello inferno nella figura di Minos, con una grande serpe avvolta alle gambe, fra un monte di diavoli. Né bastò il raccomandarsi di messer Biagio al papa et a Michelagnolo che lo levassi, che pure velo lassò per quella memoria dove ancor si vede”.

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Papa Paolo III rispose alle lagne di Biagio da Cesena in codesto modo: “Messer Biagio, voi sapete che io ho potestà in cielo e in terra, però non s’estendendo l’autorità mia nell’Inferno, voi avrete pazienza se io non ve ne posso liberare”.

Queste sono le parole riportare dal Domenichi nel suo volume pubblicato a Firenze nel 1564 dal titolo “Facezie, motti e burle di diversi signori e persone private“.

Esiste un’altra versione del discorso che il pontefice fece al suo cerimoniere: Se Michelangelo t’avesse messo in Purgatorio avrei perlomeno pregato per farti redimere ma all’Inferno tutte le anime son perdute e non c’è niente da fare”.

In poche parole il papa gli rispose per le rime dicendogli che aveva potere di azione in cielo e in terra ma non all’Inferno.

Per il momento il vostro Michelangelo Buonarroti vi saluta dandovi appuntamento ai prossimi post e sui social.

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