Quando scrissi risentito a papa Clemente VII
Dopo lo scioglimento del contratto per la facciata della Basilica di San Lorenzo a Firenze, non senza lo zampino del su cugino cardinale Giulio, Leone X de’ Medici mi commissionò la realizzazione della sontuosa Sagrestia Nuova.
Gli anni passarono e dopo il brevissimo papato di Adriano VI, durato poco più di un anno, anche Giulio de’ Medici fu incoronato papa prendendo il nome di papa Clemente VII.
I marmi tardavano ad arrivare a Firenze da Carrara, soprattutto per le vecchie ruggini causate da Leone X: eh si, la colpa fu sua che mi obbligò a cercar marmi in quel di Seravezza e di certo per i carrarini che stavano lavorando per me non fu la più bella delle notizie.
Qualche marmo che stava per me già me l’avevan venduto e avevano rallentato le spedizioni di marmi che avevo comprato. Se il papa m’avesse fatto fare come mi pareva a me avrebbe speso assai meno e i marmi per la Sagrestia Nuova sarebbero arrivati molto prima e ben sbozzati.
Con chi dovevo prendermela se non con Clemente VII? Leone X era stecchito da tempo, che volete che di dicessi ormai?
Presi carta e penna, mi sedetti e cominciai a scrivergli quello che mi passava per la testa. Sarà stato pure papa ma di marmi e rapporti con cavatori e scalpellini ero io che me n’intendevo, non lui:
…io son certo, chosì pazzo e chactivo chom’io sono, che se io fussi stato lasciato seguitate chome avevo chominciato, che oggi sarebbono tucti e’ marmi per decte opere in Firenze, e chon mancho spesa che non s’è facto insino a ora, bozzati al proposito e sarebon cosa mirabile, chome degli altri che io ci ò chondocti.
Per lavorare bene mi serviva più del pane carta bianca e la piena fiducia altrimenti la faccenda sarebbe diventata presto ingestibile. “Non mi dia nell’arte mia uomini sopra capo, e che mi presti fede e diemi libera chommessione”
In quel momento la cupola era già stata portata a termine e Stefano aveva messo su la lanterna. Ancora mancava la palla dorata ma già l’avevo progettata con tutte le sue 60 facce. Il Vasari glie ne contò 72 ma non è dato sapere cosa si fosse bevuto prima del conteggio.
A seguire vi riporto la lettera integrale che scrissi quel 31 dicembre del 1525: nemmeno col papa potevo chinare la testa e annuire quando sapevo d’aver ragione.
Firenze, 31 dicembre del 1525
Beatissimo padre, perché e’ mezzi spesse volte sono chagione di grande schandoli, però io ò preso ardire senza quegli schrivere a Vostra Santità circha le sepulture qua di San Lorenzo.
Io dicho che non so qual si sia meglio, o ‘l mal che giova, o ‘l ben che nuoce; io son certo, chosì pazzo e chactivo chom’io sono, che se io fussi stato lasciato seguitare chome avevo chominciato, che oggi sarebbono tucti e’ marmi per decte opere in Firenze, e chon mancho spesa che non s’è facto insino a ora, bozzati al proposito, e sarebon cosa mirabile, chome degli altri che io ci ò chondocti.
Ora, io vego la chosa andare molto a lLunga, né so chome la si vadi; però, io mi schuso chon Vostra Santità, che se chosa avenissi che non piacessi a quella, non ci avendo io alturità, non mi pare anche d’averci cholpa, e priego quella che, volendo che io facci chosa nessuna, che non mi dia nell’arte mia uomini sopra capo, e che mi presti fede e diemi libera chommessione, e vedrà quello che io farò e ‘l chonto che a quella renderò di me.
La lanterna qua della chappella di decto San Lorenzo, Stefano l’à finita di mecter sù e schopertola, e piace universalmente a ogni uomo, e chosì spero farà a Vostra Santità quando la vedrà.
Facciàno fare la palla, che viene alta circha un braccio e io ò pensato, per variarla dall’altre, di farla a faccie, e così si fa. Servo della Vostra Santità Michelagniolo schultore in Firenze.
Per il momento il vostro Michelangelo Buonarroti vi saluta dandovi appuntamento ai prossimi post e sui social
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