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Come fossero opera di un altro

Mi siedo sulle sponde dell’Arno e rileggo i miei versi quasi come se li avesse scritti qualcun’altro.

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Dal dolce pianto al doloroso riso,

 da una etterna a una corta pace

caduto son: là dove ‘l ver si tace,

soprasta ‘l senso a quel da lui diviso.

    Né so se dal mie core o dal tuo viso

la colpa vien del mal, che men dispiace

quante più cresce, o dall’ardente face

de gli occhi tuo rubati al paradiso.

    La tuo beltà non è cosa mortale,

ma fatta su dal ciel fra noi divina;

ond’io perdendo ardendo mi conforto,

    c’appresso a te non esser posso tale.

    Se l’arme il ciel del mie morir destina,

chi può, s’i’ muoio, dir c’abbiate il torto?

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